La buona ottimizzazione di un sito internet deve passare anche dal Dwell Time. Ovvero, il tempo di permanenza del visitatore sulle pagine web. Grazie a Google Analytics possiamo individuare un parametro parziale, registrando il valore medio delle sessioni.

Ma cosa significa esattamente lavorare su questo fronte? In primo luogo abbiamo un’attenzione massima nei confronti dell’usabilità, dell’user experience, che passa automaticamente dalla buona struttura del portale e dalla velocità di caricamento delle pagine web.
Un parametro che intercetta in modo chiaro la qualità di un hosting come quello di Serverplan, che ti garantisce performance importanti grazie a HTTP/2, dischi NVMe, HTTP Keep Alive e PHP aggiornato. Ma per definire il Dwell Time non basta questo: ecco una definizione del tempo di permanenza (o di sosta) sulla pagina e dei punti essenziali per ottimizzare questo passaggio.
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Il Dwell Time è un parametro che misura la permanenza di un utente, arrivato da Google dopo aver digitato una query, su una pagina web del tuo dominio fin quando non la abbandona per tornare indietro o procedere verso altre risorse.
In pratica, il tempo di sosta (traduzione letteraria dall’inglese all’italiano) valuta l’user engagement di un contenuto e ti permette di delineare il coinvolgimento della pubblicazione e l’UX con eventuali problemi da risolvere in tempi rapidi.
C’è una regola nella misurazione del Dwell Time: un valore alto indica, in linea di massima, soddisfazione perché il contenuto è stato letto; un parametro basso, che si traduce in poco tempo trascorso sulla pagina, può essere sinonimo di insoddisfazione. Però non è sempre così chiaro il rapporto del tempo di sosta su una pagina. Infatti, ci possono essere risorse che sono subito consultabili.
Quindi, per natura hanno una permanenza breve. In altri casi, invece, un Dwell Time elevato vuol dire complessità e difficoltà nel trovare ciò che serve. Quindi, per essere concreti ed efficaci, si dovrebbero affiancare i dati del tempo di permanenza a quelli di un tool come Microsoft Clarity o CrazyEgg che permettono di creare heatmap per comprendere come si muove un utente sulle pagine.
Spesso c’è confusione tra questi KPI del sito web. In realtà sono due elementi ben distinti: il Dwell time indica quanto tempo l’utente resta sulla pagina prima di tornare ai risultati di ricerca o cambiare risorsa; il Bounce rate registra quante persone visitano solo una pagina e poi se ne vanno. Quindi, quest’ultimo è la percentuale di utenti che atterrano su una pagina e poi lasciano il sito senza interagire.
| Metrica | Che cosa misura | Quando è un problema |
|---|---|---|
| Dwell time | Tempo prima di tornare alla SERP. | Se è troppo breve. |
| Bounce rate | Nessuna interazione oltre la pagina. | Se la pagina dovrebbe portare a un’azione. |
La SEO discute sulla possibilità di annoverare l’interazione con la pagina web come fattori di ranking. Il ragionamento: un contenuto di qualità dovrebbe prevedere, sui grandi numeri, una frequenza di rimbalzo bassa e un numero di pageview elevato. Proprio come dovrebbero essere il Dwell Time e altri user engagement signal come le pagine per sessione e la profondità di scorrimento (Scroll Depth).
Se un utente è soddisfatto non lascia la pagina appena ci atterra – aumentando così il fenomeno del pogo sticking. Quindi, ecco la domanda: il Dwell Time è un fattore di ranking? In questi casi c’è incertezza. I portavoce ufficiali di Google sostengono di no.
Ma alcuni documenti interni di Google sostengono che il motore di ricerca potrebbe monitorare alcune metriche di coinvolgimento degli utenti. Come il tempo che un lettore trascorre su una pagina prima di tornare ai risultati di ricerca. In ogni caso, la mia idea è questa: dobbiamo migliorare il Dwell Time a prescindere dalla SEO perché sarà comunque una cosa buona per l’utente.
Per migliorare il Dwell Time di una pagina web, e più in generale del sito internet, devi trattenere il visitatore sulla risorsa il più a lungo possibile, ma senza scendere a compromessi e creare delle trappole di UX: il tempo di sosta deve aumentare perché il pubblico sta leggendo qualcosa che lo interessa davvero. Ecco una lista concreta di leve su cui lavorare senza sosta, infaticabilmente:
Dulcis in fundo: la velocità di caricamento della pagina. Se il sito è lento, molti utenti tornano indietro prima ancora di leggere. Chi ne risente in questo caso? Il Dwell Time, ovvio. Ottimizza immagini in modo da ridurre il peso e utilizza il formato WebP, usa un buon sistema di cache, scegli un hosting affidabile. Come quello che puoi ottenere con Serverplan, con WordPress già installato e ottimizzato per avere le performance ideali in uno scenario di massima attenzione all’user experience e al Dwell Time.
Hosting gestito: veloce, affidabile, performante
Uno dei punti interessanti di tutto ciò: il lavoro che fai per aumentare il tempo di permanenza su una pagina web diventa fondamentale anche per l’ottimizzazione SEO. Quindi, non c’è alcun motivo per chiedersi se questo parametro è un fattore di ranking o meno: deve essere migliorato a prescindere, fare una cosa buona per l’utente (e migliorare l’user experience) non è mai sbagliato.